Mosca, 30 agosto 2006 - Le foreste siberiane della Federazione Russa sono il più grande “polmone verde” del pianeta, poiché rappresentano il 22 per cento delle aree boschive del globo (contro il 16 per cento della foresta amazzonica). Oltre a questo, esse sono l’habitat di popoli indigeni: allevatori di renne e depositari di antiche culture sciamaniche basate su un rapporto simbiotico con la foresta, con gli alberi, gli animali e le piante che in essa crescono. Si pensi solo ai riti legati all’assunzione rituale dell’amanita muscaria, il fungo allucinogeno con la testa rossa a pallini bianchi, da essi considerato carne degli dèi e il mezzo di comunicazione con gli spiriti.
Tutto questo patrimonio ambientale e umano ora rischia di sparire.
Popoli indigeni a rischio. Come riferisce la stampa russa, il governo di Mosca intende affittare per 49 anni un milione di ettari di foresta siberiana a diverse imprese statali cinesi che la disboscheranno per ricavarne legname.
La regione interessata si trova tra gli oblast di Tjumen e Sverdlovsk, nella Siberia occidentale.
In questa zona vivono i popoli indigeni dei Chanti, dei Mansi, dei Selcupi e degli Elenchi.
“Lo sfruttamento illimitato delle risorse quali il petrolio, il gas, l'oro, i diamanti e l'uranio – denuncia l’Associane per i Popoli Minacciati – hanno già costretto i popoli indigeni siberiani a ritirarsi sempre più dalle loro terre e molti si sono così trovati costretti ad abbandonare il proprio stile di vita tradizionale. Sradicamento culturale, povertà, disoccupazione e malattia sono fenomeni che colpiscono in particolar modo i popoli indigeni e che fanno sì che l'aspettativa media di vita sia tra gli indigeni siberiani di oltre dieci anni più bassa rispetto alla media russa”.
 
Timori non solo ecologici. Questa cessione, non solo creerebbe un precedente preoccupante, ma aggraverebbe una situazione già critica a causa del disboscamento illegale delle foreste siberiane, già drasticamente ridotte in passato dall'attività illegale dei privati che tagliano alberi per ricavarne legname da vendere alla Cina, affamata di legno sia ad uso edilizio che energetico.
In Russia, questa notizia ha destato però più che altro preoccupazioni dal punto di vista politico. Un simile contratto di affitto di territorio nazionale a un paese straniero, riguardante un’area così vasta e per un periodo di tempo così lungo, ha infatti suscitato l’allarme di chi teme una nuova forma di colonialismo economico cinese.
 
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