In ricordo di Josè Saramago, la lettera inviata nell'aderire alla campagna promossa da Greenpeace, Scrittori Amici delle Foreste.
Sono nipote di un uomo che, presentendo che la morte lo attendeva all’ospedale dove lo stavano portando, scese nell’orto e andò a dire addio agli alberi che aveva piantato e curato, piangendo e abbracciando ognuno di essi, come se di esseri amati si fosse trattato. Quell’uomo era un semplice pastore, un contadino analfabeta, non un intellettuale, non un artista, non una persona colta e sofisticata che decideva di lasciare questo mondo con un grande gesto che la posterità avrebbe ricordato.

Si sarebbe detto che stava salutando ciò che fino a quel momento era stato di sua proprietà, ma di sua proprietà erano anche gli animali che gli davano da vivere e lui non andò da loro per salutarli. Si accomiatò dalla famiglia e dagli alberi come se per lui fosse stato tutto la sua famiglia.
Questo episodio è accaduto, è reale, non è frutto della mia  immaginazione. In tanti anni, non avevo mai sentito uscire dalla bocca di mio nonno parola alcuna sugli alberi in generale, e su quelli in particolare, che non fosse motivata da ragioni pratiche. Inoltre, non avrei potuto immaginare, nessuno avrebbe potuto immaginarlo, che l’ultima manifestazione cosciente della personalità del vecchio uomo avrebbe toccato la linea del sublime. Eppure accadde.
Non saprò mai cosa mosse lo spirito di mio nonno in quell’ora estrema, cosa pensò e provò, quale chiamata urgente guidò i suoi passi insicuri fino agli alberi che lo aspettavano. Forse sapeva che gli alberi non possono muoversi, che sono legati alla terra dalle radici e che da queste non possono separarsi, se non per morire. Nel fondo del suo cuore, forse mio nonno sapeva, di un sapere misterioso, difficile da esprimere con le parole, che la vita della terra e degli alberi è una sola vita. Né possono gli alberi vivere senza la terra, né può la terra vivere senza gli alberi. Qualcuno afferma persino che gli unici abitanti naturali del Pianeta siano essi, gli alberi.
Perché? Perché si nutrono direttamente dalla terra, perché l’afferrano con le loro radici e da essa sono afferrati. Terra e albero, ecco la simbiosi perfetta. Può darsi che qualcuno pensi che ci sia troppo lirismo in queste parole. E’ possibile, per ché così come la terra e gli alberi, il sentimento e la ragione vanno sempre uniti. Ma non è stato per puro sentimento che mi sono unito alla campagna di Greenpeace per la protezione delle foreste primordiali e per un utilizzo dei prodotti forestali che non sia inquinante per l’ambiente. Meglio che piangere sul latte versato, sarebbe non rompere la brocca. La metafora è appropriata, di questo si tratta.
Quando i rappresentanti di Greenpeace mi hanno spiegato le ragioni oggettive del progetto e mi hanno chiesto di parteciparvi, ho capito che non mi bastava preoccuparmi per la situazione dell’ambiente come qualsiasi altra persona con una coscienza per i problemi del mondo, che era necessario che il mio impegno fosse reale, concreto. Ho chiesto loro cosa potevo fare e mi hanno risposto che avevo nelle mie mani l’arma pacifica con la quale potevo ingaggiare la battaglia: i libri, i libri che consumano quantità gigantesche di carta, i libri che divorano boschi e foreste a una velocità vertiginosa, ma anche i libri che possono essere stampati su una carta che rispetta nella sua produzione l’ambiente e che utilizza i boschi con criterio attento al bene comune, ossia, in maniera sostenibile. li risultato è il libro intitolato Las intermitencias de la muerte, e questo è solo il primo passo. Tutte le opere che potrò scrivere in futuro, tutte le riedizioni di quelle già pubblicate, saranno stampate su carta approvata da Greenpeace, sia in Portogallo, sia in Spagna, sia in America Latina. E quello che sta accadendo con Las intermitencias de la muerte, per il quale alle edizioni citate si sono aggiunte quella brasiliana, quella italiana e quella catalana, e spero che a breve vi si aggiungano anche quelle degli altri paesi che desiderino tradurre e pubblicare i libri che vado scrivendo.
Concludo rivolgendo un invito e lanciando una sfida. Che altri scrittori collaborino in questo senso con Greenpeace, che altri editori si uniscano ai miei di adesso e, soprattutto, sì, soprattutto, che i lettori, il pubblico, abbiano una maggiore coscienza che questa lotta è anche loro. Difendere gli alberi è difendere la Terra. Mio nonno lo sapeva e non sapeva né leggere né scrivere. Un vecchio analfabeta mi ha dato la migliore delle lezioni. Qui ve la offro, se la riterrete giusta e umana. So che per qualcuno lo è stato: mi dicono che a Puerto Rico, una manifestazione in difesa di un bosco, che interessi speculativi volevano abbattere, ha marciato dietro a uno striscione che portava il nome di mio nonno, Jeronimo, e che, come lui, le persone abbiano abbracciato gli alberi con una tale forza che il bosco è stato salvato. So che un viale a Castril, un paese di Granada, porta il nome di Jeronimo Melrinho, e quel viale, con quel nome, resta spiegato come la bandiera più bella.
Ad alcuni per la lezione, ad altri per preservare l’esempio, ad altri per la rigorosa attenzione con la quale guardano il mondo, dico grazie. E continuiamo su questa strada perché ci sono dei buoni motivi.

 

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