Il taglio illegale di legna in Papua Nuova Guinea distrugge ogni anno 250 mila ettari di foresta e mette a rischio interi ecosistemi: il settore è dominato da società malaysiane che esportano il legno in Giappone, Corea del Sud e soprattutto in Cina, dove buona parte del legno viene lavorato e poi inviato in Europa e Stati Uniti. Lo afferma uno studio svolto dal gruppo statunitense Forest Trend (Ft) basato su 63 rapporti scritti dal 2000 al 2005 dalla Banca mondiale e dal governo di Papua Nuova Guinea.
"La Cina - dice Michael Jenkins, presidente di Ft - deve assumere un ruolo generale di controllo", confacente al suo ruolo di maggiore acquirente, e prendere iniziative per favorire la conservazione dell'ambiente: ad esempio, garantendo che tutto il legname utilizzato per le opere olimpiche sia di provenienza legale. La Cina è ora attenta a preservare le proprie foreste, ma è accusata di comprare immense quantità di legno di provenienza illegale, dall'area del Pacifico come da Africa e America del Sud - riporta Asianews.
Questo taglio illegale distrugge, secondo il gruppo ambientalista Greenpeace, oltre 250 mila ettari di foresta ogni anno, in una zona dove meno dell'1% delle foreste pluviali sono protette contro lo sfruttamento commerciale. "Senza immediate azioni per fermare il taglio illegale - dice Steve Shallhorn, direttore di Greenpeace per Australia e Pacifico - si estingueranno specie, i cicli delle piogge saranno alterati e il clima mondiale cambierà in modo sempre più veloce". Nei giorni scorsi Greenpeace ha accettato l'invito in Papua Nuova Guinea rivolto dalla tribù Kuni per stabilire una "stazione di protezione delle foreste" sulla sua terra e per delimitare i confini dei territori tradizionali delle tribù Papua al fine di salvarli dall'industria illegale del legno.
 
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