Il governo del Sarawak, la provincia malese nel Borneo, ha recentemente deciso di assegnare 1.397.644 ettari di foresta a imprese private, per trasformarli in piantagioni da legno, mentre un'area più vasta, ma di dimensioni ancora indefinite, sarà dedicata a piantagioni di palma da olio. Peccato che molte di queste piantagioni coincidono con le foreste ancestrali dei popoli indigeni dell'isola.


E' il caso della famigerata Samling, o della Sarawak Timber Industry Development Corporation (STIDC)  Quest'ultima si è associata alla compagnia del legno KTS Holdings Sdn. Bhd, per sfruttare 267.000 ettari di foresta. La joint-venture che hanno creato, la PUSAKA-KTS Forests Plantation Sdn. Bhd. ha identificato piantagioni nelle zone di Belaga, Kakus and Tutoh in the Kapit, Bintulu e Miri Divisions, proprio nel mezzo di territori indigeni.
Per questo le comunità indigene hanno deciso di unirsi per chiedere al governo di fermare la svendita delle loro foreste. Le associazioni indigene hanno presentato ben 100 tra ricorsi e azioni legali per proteggere le proprie foreste tradizionali.
Il governo, lamentano gli indigeni, considera le loro terre ancestrali come "terre incolte". Questa è stata la giustificazione per l'espansione del taglio delle foreste da parte delle compagnie del legno, e più di recente, per l'espansione delle piantagioni di olio di palma. Un "paradigma di sviluppo" basato su attività produttive su larga scala, che non tiene conto del valore ecologico e culturale della diversità. Questo paradigma è stato rifiutato dalla Coalizione dei Popoli Indigeni della Malesia, che recentemente si è appellata all'ONU, affinché protegga l'integrità delle terre indigene, ai sensi della Risoluzione 49/214 del 1994 dell'Assemblea delle Nazioni Unite.

 

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