Dopo decenni di battaglie, i popoli indigeni di El Salvador saranno finalmente riconosciuti dalla Costituzione - un primo passo verso il recupero dell’identità della loro comunità, sempre negata dallo Stato e dalla società in generale. L’articolo 63 della Costituzione verrà modificato per riconoscere le lingue native e le altre espressioni della cultura indigena che lo Stato non ha mai esplicitamente riconosciuto fino a questo momento.

 "La riforma costituzionale è importante perché dimostra che almeno lo Stato si sta impegnando a lavorare su politiche specifiche per rafforzare la visione del mondo, i valori e la spiritualità dei nostri popoli nativi", ha dichiarato a IPS News l’attivista Betty Pérez, del Consejo Coordinador Nacional Indígena Salvadoreño (CCNIS), che riunisce circa 20 organizzazioni. 

Sebbene l’Alleanza Repubblicana Nazionalista (ARENA) abbia respinto la riforma, l’opposizione di destra non ha il numero di legislatori sufficiente per bloccare la sua approvazione da parte della coalizione guidata dal Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional (FMLN). El Salvador è tra i firmatari della Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel settembre del 2007. Ma fino ad oggi lo Stato non ha mostrato alcun interesse a conformarsi a questo strumento internazionale.

Non esistono politiche socioeconomiche a diretto beneficio di questi gruppi etnici, secondo l’Atlante sociolinguistico delle popolazioni indigene in America Latina pubblicato dall’UNICEF, il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia. L’articolo 2 della Dichiarazione delle Nazioni Unite recita che "I popoli e gli individui indigeni sono liberi ed eguali a tutti gli altri popoli e individui e hanno diritto a non essere in alcun modo discriminati nell'esercizio dei loro diritti, in particolare per quanto riguarda la loro origine o identità indigene!.

"La riforma rappresenta un grande passo avanti, perché questo paese ha sempre ignorato l’esistenza della popolazione indigena, e come risultato di questa negazione sono stati eliminati tutti i diritti di cui godrebbe in quanto popolo nativo", ha detto a IPS Carlos Lara, antropologo all’università di El Salvador.

Secondo l'opinione fino ad oggi comune, gli indigeni in Salvador non esistono più, perché oramai mescolati al resto della popolazione. Secondo questo punto di vista, la popolazione di El Salvador, di 6,1 milioni di abitanti, è 'mestiza' (meticcia), ossia frutto dell’unione tra i popoli indigeni e i discendenti degli spagnoli che colonizzarono questo territorio dal 1524. Ma questa visione in sostanza nega l’esistenza delle comunità native.La riforma costituzionale “risolverà la situazione, perché da questo momento El Salvador verrà definito un paese multiculturale e multietnico”, ha dichiarato Lara.

Secondo il censimento del 2007, i nativi rappresentano soltanto lo 0,2 per cento della popolazione - una cifra che però contestata dalle associazioni indigene e dagli studiosi. Le associazioni indigene, invece, citano l’indagine del ministero dell’Economia, che parla del 17 per cento della popolazione, soprattutto indiani Nahua-Pipil nella parte centrale e occidentale del paese, e Lenca e Cacaopera nella parte orientale. Esistono ancora città, come Santo Domingo de Guzmán nella provincia sudoccidentale di Sonsonate, in cui le popolazioni indigene rappresentano l’80 per cento della popolazione, afferma Lara.

I popoli nativi furono ridotti in schiavitù e sfruttati dai colonizzatori spagnoli e più tardi dai criollo, i creoli - nativi bianchi - le élite che hanno dominato il paese dopo la conquista dell’indipendenza nel 1821.

Ma verso la metà del XX secolo, il riconoscimento degli indigeni in quanto tali cominciò a indebolirsi, lasciando spazio ad una falsa concezione di ‘civiltà’. Bisognava essere molto moderni e civilizzati, e per questo le persone non potevano essere indigene, ha detto Lara.

Nel 1932, il dittatore Maximiliano Hernández Martínez soffocò una rivolta a ovest del paese, uccidendo - secondo stime prudenti - tra le 10mila e le 30mila persone. Dopo il massacro, gli indigeni cominciarono a nascondere le loro radici, e smisero di parlare il Náhuatl, la loro lingua natia, che era vietata dalla dittatura. La lingua Náhuatl era stata portata nell’area che oggi corrisponde all’America Centrale nel decimo secolo da gruppi provenienti dall’attuale Messico centrale, dove questa lingua viene parlata ancora oggi. Tuttavia le varietà Pipil o Nawat usate a El Salvador sono sul punto di scomparire.

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