Erano circa 850 persone, tra indigeni e attivisti, a protestare contro la gigantesca diga Belo Monte, nell’Amazzonia brasiliana. Se il progetto verrà portato a termine, la diga sarà una delle più grandi del mondo, e allagherà una grandissima area, mentre saranno prosciugati interi tratti del fiume Xingu e si ridurranno drasticamente le risorse ittiche da cui dipende la sopravvivenza delle comunità indigene della regione. Tra loro ci sono i popoli indios Kayapó, Arara, Juruna, Araweté, Xikrin, Asurini e Parakanã.


La diga scatenerà presumibilmente fenomeni migratori verso la zona, provocando pressioni sulle terre indigene e minacciando gli Indios isolati con malattie a llor sconosciute, per le quali non hanno difese immunitarie e il cui contagio per loro potrebbe risultare fatale.
In molti ritengono che l’energia generata dalla diga sarà impiegata prevalentemente dall’industria mineraria. Il governo brasiliano sta ora dibattendo un progetto di legge che dovrebbe permettere le prospezioni minerarie nelle terre indigene. Se la legge dovesse essere approvata, le comunità indigene dovranno affrontare degrado ambientale e possibili conflitti territoriali. Davi Kopenawa, sciamano e portavoce degli Yanomami, si è espresso chiaramente contro questa legge che potrebbe devastare la vita degli indigeni.
Lunedì hanno marciato fianco a fianco rappresentanti indigeni e attivisti per i diritti umani e per l’ambiente. Insieme a loro anche James Cameron, regista di "Avatar" con Sigourney Weaver e Joel David Moore, attori del film.
La marcia, partita dalla Metropolitan Cathedral, ha sfilato davanti ai ministeri coinvolti in questo controverso progetto e sotto il palazzo del Congresso Nazionale.
I manifestanti, sostenuti da numerose organizzazioni nazionali e internazionali, richiedono la cancellazione della licenza preliminare e della gara d’appalto per l’assegnazione dei lavori della diga. La gara pubblica è prevista per il 20 aprile.
Il mese scorso James Cameron ha visitato le comunità indigene della regione della “Grande Ansa” del fiume Xingu, e ha dichiarato: "Per le genti che vivono lungo il fiume da millenni la diga rappresenta la fine del loro stile di vita. Imploro il governo brasiliano e il presidente Lula a riconsiderare questo progetto".
Il primo aprile un documento sottoscritto da più di 100 organizzazioni è stato spedito alle Nazioni Unite per sottolineare che il progetto è stato approvato illegalmente, che le comunità indigene coinvolte non sono state opportunamente consultate e che alcuni attivisti hanno ricevuto minacce di morte.
La settimana scorsa, l’ufficio del Procuratore generale brasiliano ha ricevuto due documenti che chiedono l’annullamento delle licenze di Belo Monte, sostenendo che siano state concesse in violazione della legge ambientale e della Costituzione brasiliana, e che i popoli indigeni della regione non siano stati adeguatamente consultati. I rapporti verranno esaminati da un giudice federale e la sentenza potrebbe essere emessa prima della gara d’appalto.
Un altro rapporto è stato pubblicato da una rete di associazioni che operano per i diritti umani, ambientali ed economici in Brasile. Il dossier condanna l’impatto devastante che avrebbe la diga e chiede l’annullamento delle licenze.
Alcune delle aziende che avrebbero dovuto partecipare alla gara d’appalto si sono già ritirate. Tuttavia il presidente Lula ha dichiarato che il progetto di costruzione della diga andrà avanti, con o senza la partecipazione delle imprese.
Gli indigeni dell’area hanno già organizzato diverse proteste ma stanno pianificando prima del 20 aprile un’altra grandissima manifestazione nella Grande Ansa dello Xingu. Se la costruzione della diga avrà inizio, sono pronti a dichiarare guerra e "a trasformare lo Xingu in un fiume di sangue".

 

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