Youndé, 11 ottobre 2003 - Inaugurata l'enorme tubatura che attraversa due paesi africani, tagliando foreste, villaggi, campi. Malgrado le proteste delle popolazioni locali la costruzione dell'oleodotto, voluta e finanziata dalla Banca Mondiale, è giunta a termine.
Sebbene all'inizio dell'agosto 2002 l'Inspection Panel, l'organo ispettivo interno della Banca mondiale, avesse affermato nel suo rapporto finale che il progetto non avrebbe fatto altro che danneggiare seriamente l'ambiente e non avrebbe distribuito alle popolazioni locali un'equa porzione dei profitti derivanti, il contestato oleodotto Ciad Camerun è stato comunque portato a termine.
Secondo fonti della Campagna per la Riforma della Bana Mondiale, la Banca era a conoscenza dei gravi impatti ambientali segnalati dal proprio 'Inspection Panel, un comportamento definito da quest'ultimo  come una ‘seria omissione’. Inoltre l´Inpection Panel esprimeva la sua ‘grande preoccupazione’ per il fatto che solo il 5% dei profitti derivanti dal progetto vadano a beneficiare le popolazioni locali, tra le più povere al mondo, cui invece erano state fatte ben altre promesse di sviluppo.
Alla fine il 10 ottobre 2003, però, il mega-oleodotto Ciad-Camerun è stato ufficialmente inaugurato. Per enfatizzare quanto più possibile questo momento definito ‘storico’, l´Exxon, la principale multinazionale del petrolio coinvolta nel progetto, insieme a Chevron e Petronas, e la Banca mondiale, che come visto ha fortemente voluto quest´opera, in quei giorni hanno fatto le cose in grande. Numerosi infatti i giornalisti invitati per l´evento a N´Djamena, la capitale del Ciad. Peccato che agli esponenti della società civile ciadiana, da sempre critica sul progetto visti i suoi alti impatti socio-ambientali e gli scarsissimi benefici per la popolazione locale, siano stati tenuti a debita distanza, impedendogli  di incontrare i giornalisti. Non solo, il governo, che si teme userà i proventi del petrolio per rafforzare il suo autoritarismo ormai dilagante, ha anche negato l´autorizzazione per una manifestazione pacifica di protesta contro l´oleodotto. I gruppi della società civile del Ciad hanno comunque indetto una giornata di lutto, anche per ricordare le continue violazioni dei diritti umani che si ripetono senza soluzione di continuità nel loro paese. 
 
La scheda del progetto
Dopo tre anni di campagna internazionale condotta dalle organizzazioni non governative e dalle popolazioni locali nel giugno del 2000 il Consiglio dei Direttori esecutivi della Banca mondiale ha deciso di finanziare il "Chad-Cameroon Oil and Pipeline". La campagna internazionale aveva invece chiesto una moratoria al prestito affinché venissero prima soddisfatte le condizioni di sostenibilità ambientale sociale e di redistribuzione locale chiesta a gran voce dalle ong e popolazioni locali a Bebedja nel 1998. Unico ad astenersi dalla decisione della Banca Mondiale e' stato il Direttore Esecutivo italiano, Franco Passacantando, che ha cosi' dimostrato di condividere le preoccupazioni della Campagna sull'utilita' e gli impatti del progetto. Il presupposto per il finanziamento della Banca mondiale e' che le royalties che entreranno per lo sfruttamento petrolifero e per l'oleodotto contribuiranno alla crescita economica dei due paesi, e di conseguenza alla lotta alla poverta'. Al punto che, quando venne presentato il progetto nel '97 i fondi della BM avrebbero dovuto essere erogati dall'IDA, lo sportello per il finanziamento a tassi agevolati dei paesi più poveri. Gia' da allora le prime proteste delle organizzazioni internazionali indussero la BM a decidere che i fondi dovessero provenire dalla International Finance Corporation, lo sportello per il finanziamento del settore privato, per cui i fondi sono andati ad un consorzio formato da Exxon, Chevron e Petronas (queste ultime due subentrate nel novembre 1999 a Shell ed Elf Aquitaine). L'investimento totale richiesto dal consorzio a Banca mondiale e finanziatori privati ammonta a 3 miliardi e mezzo di dollari: 370 milioni di dollari sono stati prestati dalla Banca mondiale. 
 
Il progetto "Chad-Cameroon Oil and Pipeline" ha significato l'apertura di 300 pozzi petroliferi nel Ciad meridionale e la costruzione di un oleodotto di 1.100 km che arriva al mare in Camerun attraversando la foresta tropicale e le zone dove abitano popolazioni indigene Pigmee Bakola.
 
 
La prima preoccupazione delle ong internazionali, che hanno appoggiato il lavoro di un coordinamento di 128 associazioni del Ciad, e' la totale mancanza di garanzie per l'uso dei fondi e per le violazioni dei diritti umani connesse al progetto. In Ciad gli interessi sul petrolio hanno catalizzato enormi conflitti tra nord e sud del paese, per il controllo delle aree di futura estrazione: nel corso del '98 e '99 e anche nei giorni precedenti la decisione della Banca mondiale, quindi nel maggio 2000, l'esercito ha imperversato nella regione di Moundou e Doba, commettendo massacri, torture e esecuzioni extragiudiziali contro la popolazione civile. L'arrivo del petrolio ha acuito i conflitti tra le etnie, e quelli tradizionali tra agricoltori e allevatori. La Banca mondiale ritiene che i proventi delle royalties, previste per il Ciad tra i 3,5 e gli 8 miliardi di dollari per un periodo di 20 anni, possano finanziare lo sviluppo sociale ed economico dei due paesi, ma la corruzione dilagante in Ciad e Camerun non offre alcuna garanzia in proposito. La legge di gestione degli introiti, approvata in Ciad, non stabilisce alcun meccanismo di controllo e il piano di sviluppo regionale (considerato dalla Banca mondiale come una misura complementare importante per il finanziamento) non ha visto alcuna partecipazione della societa' civile. La mancata diffusione di informazioni e la presenza di militari nelle poche iniziative di consultazione hanno di fatto precluso alle comunita' locali la possibilita' di far valere le proprie richieste ed osservazioni. Nelle condizioni attuali, si prevedono basse ricadute in termini economici, o addirittura negative: una legge sulla redistribuzione dei profitti e' stata approvata dal parlamento del Ciad nel gennaio 1998 ma essa non garantisce alla regione, che rappresenta il 25% della popolazione del Ciad, più di un 5% dei profitti derivanti dalle royalties. Il regime fiscale riservato al consorzio e' agevolato, a tassi d'interesse fermi a dieci anni fa. Alle imprese vengono concessi diritti che prevalgono sulle leggi nazionali ed internazionali, autorizzando il consorzio ad operare non solo nella zona in concessione ma anche in altre aree, oltre i tre bacini di Miaundoum, Kome', e Bero previsti finora, senza alcuna valutazione d'impatto ambientale. Tra Ciad e Camerun almeno 5 milioni di persone potrebbero soffrire le conseguenze ambientali, economici e sociali derivanti da questa situazione di privilegio concessa alle imprese multinazionali.
Gli impatti socio-ambientali
 
Le valutazioni di impatto ambientale e sociale, vincolanti ogni approvazione di prestiti secondo le direttive della Banca mondiale, non sono state fatte con la consultazione delle popolazioni locali, che hanno ricevuto informazioni sul progetto solo in prossimita' della sua approvazione e in maniera inadeguata. Il consorzio ha addirittura iniziato a pagare in anticipo (delle somme risibili) per l'espropriazione dei terreni da cui sara' estratto il petrolio, per guadagnare il consenso della popolazione.
 
 
Il rischio ambientale in Ciad e in Camerun e' altissimo: la fitta rete di pozzi prevista mettera' a rischio la falda d'acqua sottostante e l'apertura delle strade necessarie alla costruzione dell'oleodotto ha gia' provocato un'ulteriore deforestazione, in quest'area del centro Africa dove ogni anno vengono abbattuti 2.000 kmq di foreste. Una valutazione dell' Environmental Defense Fund ha calcolato che, in condizioni ottimali, l'oleodotto, che trasportera' 225.000 barili al giorno, avra' perdite accidentali di greggio dell'ordine di 8.000 litri al giorno. L'oleodotto arriva in mare al largo della citta' di Kribi, nell'Oceano Atlantico, che si trova tra due aree protette, i parchi nazionali di Campo e Douala Edea, dove ci sono le cascate di Lobe', uno dei rari casi di cascata di acqua dolce nel mare. Paradossalmente proprio in quest'area la stessa Banca mondiale finanzia la protezione ambientale con un progetto del GEF (Global Environmet Facility, un fondo per il recupero ambientale nato dopo il '92). L'oleodotto attraversa 17 fiumi in Camerun e aree di foresta tropicale estremamente delicate, sboccando in un'area ricca di risorse ittiche. Nella zona sono anche sviluppate alcune attivita' turistiche, ormai compromesse dalla presenza di un terminale off-shore. Al momento non e' disponibile un efficace piano di risposta alle fuoriuscite di petrolio ("oil spill response plan"). La fitta rete di oleodotti che congiunge i trecento pozzi di petrolio in Ciad con la "pipeline" principale in Camerun potrebbe inquinare la falda acquifera sottostante, unica sorgente di acqua per questa regione gia' affetta da scarsita' di risorse idriche per l'irrigazione. Anche le attivita' tradizionali di pesca nel lago Ciad e nei fiumi della regione rischiano di essere gravemente compromesse da eventuali sversamenti di greggio.
 
 
Il rischio sociale non e' prevedibile e il governo non da' garanzie in questo senso. In Camerun l'oleodotto ha tagliato le tradizionali piste di transumanza del bestiame, mettendo in pericolo le comunita' di allevatori. Il Piano per le Popolazioni Indigene presentato dal governo del Camerun non ha preso in considerazione dati importanti come il riconoscimento dei diritti sulla terra delle popolazioni Pigmee Bakola che non hanno più accesso ai loro mezzi di sussistenza tradizionali. La Exxon, violando palesemente le normative della Banca Mondiale, ha infatti espropriato le terre pagando risarcimenti in natura (biciclette, carriole ecc.) o di ammontare risibile, causando cosi' conflitti interni tra la popolazione.
 
Negli anni scorsi il Governo italiano e' stato chiamato a prendere una posizione di indirizzo sul progetto da una mozione parlamentare presentata dal Gruppo Verdi alla Commissione Esteri del Senato, sottoscritta dai partiti di maggioranza e dell'opposizione, anche se purtroppo la risposta non e' stata adeguata ed incisiva come ci si attendeva.
 
Anche il Parlamento Europeo si è pronunciato in due occasioni sui rischi di violazioni di diritti umani connesse al progetto e due documenti sono stati presentati alla Commissione per i Diritti dell´Uomo delle Nazione Unite e alla Sottocommissione per i Diritti delle Minoranze nel 1998 e 1999.
 
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