23 marzo 2002 -  è la domanda che il World Rainforest Movement e Friends of the Earth International hanno posto ai delegati riuniti all'Aja per il sesto vertice della biodiversità. Sembra non esservi un rapporto tra le dichiarazioni d'impegno e le politiche adottate, mentre le istituzioni finanziarie internazionali continuano a imporre piani di aggiustamento strutturale e progetti infrastrutturali di "sviluppo" che indebitano i paesi e al tempo stesso minacciano la biodivdersità da essi ospitata.
E difatti, i roboanti discorsi sull'improrogabile necessità di proteggere la diversità biolaogica sulla terra, e gli habitat da cui questa dipende, innanzitutto gli habitat forestali, si traducono  in progetti discussi:
•Il gasdotto Brasile-Bolivia che minaccia la foresta di Chiquitano;
•L'autostrada Pan Americana, che penetra nell'area di Darien e nell'ecoregione del Chaco ;
•L'oleodotto Ciad-Camerun;
•La diga idroelettrica di Yacyreta;
•La conversione delle foreste nativa dell'Indonesia in piantagioni mono colturali;
•La massiccia diffusione di pesticidi che minaccia il bioma amazzonico;
•I giochi di parole che consentono alle piantagioni di ecalipto, pino e acacia di essere considerate foreste.
 
Difficile pensare che le foreste e la biodiversità possano essere protette su basi come queste. E difatti le estinzioni non accennano a diminuire. La Convenzione sulla Biodiversità potrà diventare uno strumento efficace quando gli Stati decideranno di affrontare le cause profonde della perdita di biodiversità, promuovendo il rispetto dei diritti indigeni, assicurando protezione alle comunità forestali,  avviando un processo di democratizzazione delle istituzioni finanziarie internazionali, assicurando eguali diritti nell'accesso alle risorse e mettendo in pratica l'approccio ecosistemico, che non ha nulla a che vedere con le monocolture.
 
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