Non è un veleno. Ma la potenza economica dell'olio di palma sta spazzando via dalla terra un'intera specie, l'orang utan. E' uno dei nostri più vicini parenti nel mondo animale, ma ne restano ormai meno di 60.000 individui, e il loro habitat, nelle isole di Sumatra e Borneo, è spazzato via dall'avanzata delle ruspe.

Secondo un rapporto dell’UNEP del 2007 la deforestazione selvaggia potrebbe portare all’estinzione degli orangutan, un primate già attualmente a rischio.


Queste grande scimmie antropomorfe vivono soprattutto sugli alberi. La loro sopravvivenza è strettamente correlata alla salute e all’integrità delle foreste in cui vivono ed è costantemente minacciata dall’azione dei cacciatori che uccidono le madri e vendono i cuccioli come animali da compagnia. Indubbiamente la deforestazione minaccia la salvaguardia di questi grandi e intelligenti animali. L’UNEP prevede che gli orangutan si estingueranno entro vent’anni, se il tasso di distruzione delle foreste proseguirà ai ritmi attuali.

 

La prima minaccia è la frammentazione della foresta. Piccole popolazioni di orango sono isolate le une dalle altre, separate da estese piantagioni, rinchiusi in piccole foreste senza possibilità di riproduzione, se non tra parenti stretti. I microscopici tratti di foresta non bastano neppure a sfamarli. Stremati, gli oranghi cercano cibo nelle piantagioni di palma da olio, dove vengono fatti uccidere dai proprietari, o avvelenati dai pesticidi.

I grandi primati dal caratteristico colore rosso sono originarie delle foreste pluviali dell’Indonesia e della Malesia, sottoposte ad una continua ed incessante distruzione, spesso illegale, messa in atto soprattutto per fare spazio alle coltivazioni estensive. L’organizzazione non profit Orangutan Conservancy stima che nelle foreste del Borneo sopravvivano solamente 54.000 orangutan e siano appena 6.600 gli esemplari che vivono nell’isola di Sumatra. È andato perduto l’80% dell’habitat di questi primati. Da un lato i piccoli contadini che tagliano gli alberi per allargare i campi da coltivazione, dall’altro le grandi piantagioni di palma da olio. Le foreste originarie vengono letteralmente assediate dall’azione umana. Il rischio è che a rimetterci siano i cugini "rossi" dell’uomo, con il quale condividono ben il 98% del patrimonio genetico.

L'industria dell'olio di palma se ne lava le mani: "le alternative all'olio di palma, come la soia, richiedono più terreno" dichiara Yusof Basiron, presidente dell'unione delle piantagioni malesi (Malaysian Palm Oil Council - MPOC), insomma, non c'è niente da fare. Il MPOC vanta il proprio impegno a creare dei corridoi faunistici che uniscano i frammenti di foresta rimasti intatti, ma secondo le associazioni ambientalisti si tratta di propaganda: l'impegno non è vincolante, e in attesa di fondi, resta sulla carta.


 

 

 

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